Biennale dell’Architettura di Venezia: come vivremo insieme?

Come vivremo insieme? È contemporaneamente la domanda e il titolo che ha caratterizzato l’edizione 2021 della Biennale dell’Architettura di Venezia curata da Hashim Sarkis, professore del MIT che ha chiesto agli architetti di immaginare spazi in cui vivere generosamente “together” persino quando ci si trova sempre più circondati da un contesto fatto di divisioni politiche e disuguaglianze economiche.

Nel Portego al piano terra di Ca’ Giustinian e negli storici spazi espositivi dei Giardini e del complesso pre-industriale dell’Arsenale, quasi 300.000 visitatori in sei mesi hanno scoperto e affollato dibattiti, progetti e mostre nate per parlare a un pubblico formato nella maggior parte dei casi da non addetti ai lavori delle sfide che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi anni (pandemia inclusa, poiché quest’ultimo aspetto ha modificato sensibilmente il nostro concetto di stare insieme).

Organizzata in sotto sezioni la mostra parte dal corpo umano per analizzare le nostre relazioni sempre più strette con i sistemi naturali che ci circondano e che ci rendono parte di un unicum che abbraccia l’intero pianeta e che gli architetti provano a immaginare in modo diverso dalle norme della società e che cercano di intergrare in un processo pensato per dare forma agli spazi in cui le persone vivono.

Negli spazi della Biennale (soprattutto i giardini) abbiamo assistito a 61 partecipazioni nazionali con ben tre paesi a fare da new entries come Grenada, Iraq e Uzbekistan e con contributi legati all’idea di una comunità globale che si serve degli strumenti digitali per attivarsi, ma anche di piccole realtà locali che lavorano per proteggere il proprio territorio.

Nel Padiglione della Romania, ad esempio, si parla di come i migranti di questo paese vivano all’interno di comunità locali, ma anche del declino delle città rumene, con l’idea di trasformare questa contrazione urbana in una risorsa modernizzatrice. Stati Uniti e Giappone hanno scelto di ricostruire due case in legno per esporle all’interno di un contesto diverso da quello per il quale sono state create così da dare un’esistenza nuova al passato e lavorare sul concetto di sostenibilità e di memoria.

Se nel padiglione della Gran Bretagna si lavora sulla relazione tra i concetti di pubblico e privato in un’ottica di uguaglianza sociale, in quello della Polonia il focus è incentrato sulla narrazione delle aree rurali per richiamare l’attenzione sull’emarginazione vissuta dalle campagne, ma anche sulle enormi potenzialità inespresse di questi territori.

Molti altri paesi hanno puntato sul rapporto con la storia per lavorare su idee di società più solide e inclusive, inventando paesaggi urbani che nascono dal rapporto di crescita tra città e mondo dell’architettura.

E l’Italia? Potete vedere il padiglione curato da Mario Cucinella nel link qui sotto e che rappresenta un viaggio attraverso le aree interne della nostra penisola per ricostruire il rapporto spesso trascurato tra architettura e luoghi “marginali” presenti sul territorio.

https://www.elledecor.com/it/architettura/a20936406/padiglione-italia-biennale-architettura-venezia-intervista-mario-cucinella/